Non è difficile vedere, in tutto ciò, come il vero mestiere
sia distante dall’industria moderna, tanto che si può dire si tratti di due
opposti, e quanto sia disgraziatamente vero, nel «regno della quantità», che il
mestiere, come volentieri affermano i fautori del «progresso» che naturalmente
se ne rallegrano, sia «una cosa del passato».
Nel lavoro industriale l’operaio non mette niente di se
stesso, e d’altronde si avrebbe buona cura di impedirglielo qualora ne avesse
la minima velleità; ma ciò non è neanche possibile, poiché tutta la sua attività
consiste nel far funzionare una macchina; egli, del resto, è reso perfettamente
privo di iniziativa dalla «formazione», o meglio deformazione professionale
ricevuta, la quale è come l’antitesi dell’antico apprendistato, e che ha per
unico scopo quello di insegnargli ad eseguire certi movimenti «meccanicamente»
e sempre allo stesso modo, senza assolutamente che debba capirne la ragione né
preoccuparsi del risultato, in quanto in realtà non è lui, bensì la macchina, a
fabbricare l’oggetto.