Sulla scuola oggi non
si può essere troppo ecumenici, bisogna essere di parte, la parte di chi
rischia che l'istruzione non sia più un suo diritto, per colpa della crisi,
della sciatteria politica, del calcolo astuto di chi sfrutta a fini suoi
l'ignoranza altrui. E dovrebbe essere la buona politica a preoccuparsi che questo
accada ma non lo fa e allora ci sono i buoni maestri e le buone maestre. In
qualche modo eredi di Alberto Manzi che ha reso possibile per molti italiani
quel "non è mai troppo tardi", che era il titolo della sua trasmissione
più popolare.
C'è un rischio, che
oggi è quasi un destino: quello di dover essere maestri speciali, diversamente maestri
rispetto agli insegnanti fannulloni incapaci illicenziabili e quindi impuniti
che viaggiano nel pregiudizio della piazza. Ma queste esperienze di maestri
diversi sono anche esperienze di socializzazione del problema, come si dice.
Nessuna scuola è autosufficiente, neanche se ha tutto quel che le serve e di
più. L'autosufficienza è un tarlo tremendo che sbriciola la nostra propensione
a sentirci solidali, responsabili nel modo in cui possiamo e sappiamo. Per cui
va bene questa disseminazione di esperienze d'aiuto, è l'espressione bella del
nostro credere che insieme è meglio sempre, che la scuola, la convivenza sono
cose di tutti. E c'è anche la possibilità che da queste esperienze arrivino
alla scuola, pervia obliqua, delle idee precise, tipo che se non si libera la
scuola dalla burocrazia a favore della relazione non si va da nessuna parte, che
i programmi (non ci sono più in senso stretto, ma non è informazione così
conosciuta ancora) passano sempre attraverso la curiosità dei ragazzi, che
senza la passione, proprio la passione, per la propria disciplina e per i
ragazzi, fare l'insegnante è nocivo.
Parlare di scuola
vera è sempre una buona cosa perché ancora una volta si scopre che ciò che non appare
è quel che più conta, e mentre la narrazione comune di scuola, anche nei libri,
insegue perversioni e scandali per vendere forse una copia in più, c'è chi non
si permette nessun cinismo passatista e dice che la società può continuare a
essere civile attraverso questi ragazzi non più irrigiditi dalla delusione di
sé.
La deprivazione
culturale è immediatamente un ostacolo alla partecipazione sociale (non si
capisce di essere ingannati, non si trovano strade condivise, per contrapporsi
bastano poche parole) e politica (si crede ai truffapopoli di quartiere e di
stato), allo sviluppo economico (si dipende dal resto del mondo) e alla
realizzazione della propria libertà e felicità, perché non possiamo realizzare quel
che siamo.
E così essere di
parte, quando si parla di scuola, vuol dire essere dalla parte di tutti.
Mariapia
Veladiano, Buoni
maestri, La Repubblica, 28 febbraio 2014