Caro direttore,
come insegnante di
una scuola primaria di Milano, formata da 22 alunni di cui solo cinque di
nazionalità italiana, e di cui 12 di religione musulmana, mi interrogo su
quello che vedrò riflesso sui volti dei bambini dopo i fatti di Parigi.
Gli episodi di
terrorismo ci interrogano sia come cittadini sia come uomini e donne di buona
volontà, ma soprattutto come membri di una società multietnica. Chiedo pertanto
e mi auguro che si alzino tutti i musulmani che risiedono in Occidente al grido
«non nel mio nome». Vorrei che la loro voce si alzasse così da sentirla chiaramente
e nitidamente.
Spero che in Italia
si alzino tutti i genitori musulmani degli alunni che dividono i banchi con i
nostri figli, si alzino i papà e le mamme per dire ai loro bimbi cos'è davvero
l'Islam così da spiegarlo anche a noi, affinché possano aiutarci a capire e a sentire
la condanna di ciò che è male per perseguire, insieme a chi non è musulmano,
ciò che è bene. Mi auguro un confronto alla luce della verità. Auspico che i
popoli musulmani possano interrogarsi sulla loro identità, chiarirsela e
chiarirla a noi che li accogliamo nelle scuole, nelle case. Mi auguro, entrando
in classe, di poter scorgere nei volti dei miei alunni musulmani un riflesso,
una traccia del fatto che nelle loro famiglie si condivida il desiderio di pace
e si lavori perché ciò che abbiamo visto non accada più nel loro nome.
Mi chiedo allora se
non sia opportuno cambiare qualcosa nella scuola e nelle politiche di accoglienza.
Perché non introdurre l'insegnamento della lingua araba nelle scuole europee? Non
certo per diventare arabi ma per aumentare gli strumenti di dialogo. Mi chiedo
perché non la smettiamo di pensare di abbattere le differenze annullandole, ma
accogliendole. Oggi nelle scuole si evita di parlare di alcuni soggetti d'arte
perché troppo cristiani, si evita di parlare di alcune feste religiose per non
urtare chi non è di fede cristiana, si festeggia Halloween ma non si specifica
che la festa è quella di Ognissanti. Una ricorrenza che costringerebbe a parlare
della morte, di affrontarla e inquadrarla nella cornice della verità. Ebbene la
morte entra però nelle nostre case con gli attentati, le guerre e gli attacchi terroristici.
Molti militanti dell'Isis sono giovani che hanno studiato in Europa. E' giusto
chiedersi cosa non ha funzionato nel processo scolastico, nel processo di
socializzazione e di accoglienza.
Non è negando le
differenze culturali e religiose che si affronta il problema della convivenza, ma
crescendo nella competenza. Conoscere le nostre tradizioni e accoglierne di
nuove senza negare la nostra identità e quella altra da noi. Per questo si auspica
che i musulmani residenti nel nostro territorio si alzino a far conoscere la loro
cultura nel dialogo.
Oriana D'Anna,
insegnante su La Stampa, 16 novembre
2015.