Giovedì 29 dicembre
1842, Jules Michelet incominciava in questi termini il suo corso al Collège de
France:
«Devo ringraziare
le persone compiacenti che raccolgono le mie lezioni, ma nel contempo devo
pregarle di non dare a questo alcuna pubblicità.
Parlo con fiducia a
voi, a voi soli, e non alla gente di fuori. Non vi confido solamente la mia
scienza, ma il mio pensiero intimo sul tema più vitale. Appunto perché è molto
numeroso, molto completo (per età, sesso, province, nazioni...), in questo
uditorio sento l’umanità, l’uomo, cioè me stesso. Da me a voi, da uomo a uomo,
tutto può dirsi. Sembra che uno solo parli, qui: errore, anche voi parlate. Io
agisco e voi reagite, io insegno e voi m’insegnate. Le vostre obiezioni, le
vostre approvazioni sono per me molto sensibili. (Come? Non si può dire. E’ il
mistero delle grandi assemblee, il rapido scambio, l’azione, la reazione dello
spirito).
L’insegnamento non
è, come si crede, un discorso accademico o un’esibizione; è la comunicazione
vicendevole, doppiamente feconda tra un uomo e un’assemblea che cercano
insieme. La stenografia più completa, più esatta, riprodurrà il dialogo? No,
riprodurrà solamente ciò che ho detto ma non la stessa cosa che ho detto: io
parlo anche con lo sguardo e con il gesto. La mia presenza e la mia persona
sono una parte considerevole del mio insegnamento. La migliore stenografia
parrà ridicola perché riprodurrà le lungaggini, le ripetizioni utilissime qui,
le risposte che do sovente alle obiezioni che vedo nei vostri occhi, gli
ampliamenti che do su un punto, in cui l’approvazione di tale o talaltra
persona mi indica che vorrebbe fermarmi. Occorre quindi lasciar volare queste
parole alate. Che si perdano, alla buon’ora! che si cancellino dalla vostra
memoria, se ne resta lo spirito, va bene.
Sta qui ciò che di
toccante e di sacro c’è nell’insegnamento. Che sia un sacrificio, che non ne
resti niente di materiale, ma che tutti ne escano forti, abbastanza forti per
dimenticare questo debole punto di partenza. Quanto a me, se temessi che le mie
parole rischiassero di gelare nell’aria e di essere riprodotte così, isolate da
colui per il quale avete una qualche benevolenza, non oserei più parlare. Vi
insegnerei qualche tavola cronologica, qualche secca e triviale formula, ma mi
guarderei dall’apportare qui, come faccio, me stesso, la mia vita, il mio
pensiero più intimo».
Alain
Finkielkraut, Entretien
avec Francois Furet et Jacques le Goff, «Corriere della Sera» del 17
gennaio 2008