Scalava
leggero, il corpo rispondeva teso e schietto all'invito degli appigli, il fiato
se ne stava compresso nei polmoni e staccava sillabe di soffio seguendo il
ritmo di una musica in testa. Il vento gli arruffava i capelli e sgomberava i
pensieri. Con l'ultimo passo di salita toccava l'estremità dove la terra smette
e inizia il cielo. Una cima raggiunta è il bordo di confine tra il finito e
l'immenso. Lì arrivava alla massima distanza dal punto di partenza. Non è
traguardo una cima, è sbarramento. Lì sperimentava la vertigine, che in lui non
era il risucchio del vuoto verso il basso, ma affacciarsi sul vuoto dell'insù.
Lì sulla cima percepiva la divinità che si accostava.
Lassù
si avvolgeva di vento. Una sommità senza urto di masse d'aria addosso è
spaventosa. Perché l'immenso sta trattenendo il fiato.
Erri De Luca,
E disse (2011), p.
9-10