Roma, 14 maggio 1904
Mio caro signor
Kappus,
molto tempo è
trascorso da quando ho ricevuto la Sua ultima lettera. La prego di non
volermene; prima c’è
stato il lavoro, poi qualche difficoltà e infine l’indisposizione, che mi hanno
trattenuto dal darLe una risposta che doveva, nelle mie intenzioni, arrivarLe
da giorni sereni e buoni. Ora mi sento di nuovo un po’ meglio ed eccomi caro
signor Kappus a conversare con Lei di ciò che mi scrive nella Sua lettera, cosa
che faccio di tutto cuore, meglio che posso.
Non si lasci
fuorviare dalla Sua solitudine per il fatto che c’è qualcosa in Lei che
desidera uscirne. Proprio questo desiderio, se Lei saprà servirsene
serenamente, riflettendoci con attenzione e come se fosse uno strumento di
lavoro, aiuterà la Sua solitudine a diffondersi su un vasto territorio.
La
gente (aiutata dalle convenzioni) ha risolto ogni cosa nella leggerezza, e
nella parte più leggera della leggerezza; ma è chiaro che noi dobbiamo restare
in ciò che è difficile; tutto ciò che vive vi rimane allo stesso modo, tutto
nella natura si sviluppa e si difende a modo proprio, ed è se stesso fino in
fondo, prova a esserlo a qualsiasi costo e contro qualsiasi resistenza.
E’ poco
ciò che sappiamo, ma che noi dobbiamo restare in ciò che è difficile è una
certezza che non deve mai abbandonarci; è bene essere soli, perché la
solitudine è difficile; e se qualcosa è difficile, ciò dev’essere una buona
ragione perché noi la facciamo.
continua…
Rainer Maria
Rilke,
Lettere a un giovane, Qiqajon,
Magnano 2015.