Sulle rive del Grande
Fiume, sorgeva una scuola dove i bimbi di tutti i paesi, sin da lunga distanza,
venivano ad imparare. In questa scuola c’erano due insegnanti: uno veniva
tenuto in grande considerazione, l’altro era visto come un uomo semplice, di
poco conto. Di solito i bimbi delle famiglie più ricche e nobili venivano
istruiti dal primo insegnante, quelli delle famiglie più povere dal secondo. E
fu così che da un villaggio distante tre giorni dalla scuola partirono insieme,
per comodità, ma non perché appartenenti allo stesso ceto, due bimbi della
stessa età: il primo era figlio del capo del villaggio, che riponeva in lui
grandi aspettative; il secondo era figlio del suo stalliere. Partirono insieme
e raggiunsero la scuola. La scuola stessa era su due piani diversi, uno più in
alto e uno più in basso; ma da tutti e due i piani si vedeva il Grande Fiume.
Quando i due
fanciulli arrivarono nella scuola, si divisero, andando ognuno su di un piano
diverso. Il grande insegnante faceva ore e ore di lezione ai bimbi: li metteva
tutti in cerchio, parlava loro delle cose della vita, degli dei, delle
scritture, faceva loro imparare a memoria le poesie e i saggi. Gli allievi
passavano tutta la giornata seduti ad imparare, a scrivere, a studiare, a
leggere.
Nell’altra scuola ci
si alzava all’alba e per prima cosa si faceva tutto quello che serviva a
prendersi cura di sé: si preparava la colazione, si lavavano le vesti e il
corpo. L’insegnante era una persona particolare, alcuni volevano anche
cacciarlo per questo. Egli non proferiva quasi mai parola, semplicemente
mostrava col suo esempio e gli allievi dovevano fare altrettanto. E così
imparavano a cucire le vesti, imparavano a cercare l’acqua dei pozzi,
imparavano le cose della vita quotidiana; solo la sera, quando il sole andava
sul calare, l’insegnante si metteva al centro di un cerchio fatto dai suoi
allievi e raccontava una storia.
Passarono cinque anni
e per i due bimbi, ormai cresciuti, giunse l’ora di tornare al villaggio di
origine. Accompagnati da un servo, si affiancarono ad una carovana ed andarono,
entrambi orgogliosi dell’insegnamento ricevuto. Ma alcuni predoni, che
provenivano da est, assalirono la carovana, razziarono vesti e viveri e
uccisero tutti. Solo i due fanciulli si salvarono, perché, nascosti dietro un
carretto rovesciato, non furono notati. A questo punto, vedendo ogni cosa
distrutta, furono colti da sgomento e da sconforto, essendo il viaggio verso
casa ancora così lungo. Il figlio del capo del villaggio era disperato, non
capiva come avrebbero potuto fare a non morire di fame e di sete nel deserto,
mentre l’altro, pur preoccupato, cominciò a ragionare. Per prima cosa costruì
un riparo per il sole cocente; poi si sedette ad osservare attentamente gli
uccelli, per vedere dove fosse possibile andarsi ad abbeverare. Da una pelle di
animale ricavò quattro calzari, un paio per ciascuno, che rendessero possibile
camminare nel deserto. E così pian piano, passo dopo passo, condusse l’amico
sulla via di casa. Il viaggio fu più lungo che all’andata e tutte le sere,
ricordando una delle storie che il suo maestro gli aveva insegnato, la
raccontava per tenere alto, oltre al corpo, anche lo spirito.
Nel villaggio, i
padri erano stati informati della distruzione della carovana e disperavano di
vedere i figli ritornare. Quando finalmente, dopo molti giorni, i due ragazzi
arrivarono, tutto il villaggio si fece loro attorno felice a festeggiarli. Il
capo villaggio prese suo figlio e disse: “Sei un grande figlio, sei ritornato
da una così grande sventura; è un onore essere tuo padre”. Mentre tutti i
festeggiamenti erano rivolti al figlio del capo villaggio, l’altro fanciullo fu
lasciato un po’ in disparte. La notte una grande luna brillava nel cielo e il
figlio dell’uomo ricco pensò all’accaduto. La mattina dopo, quando i
festeggiamenti dovevano proseguire, egli si alzò, si vestì, prese un bel
mantello e un bel copricapo e si incamminò verso la piazza, dove tutto il paese
si era riversato. In mezzo alla folla egli vide il suo compagno di viaggio, lo
prese per mano e lo portò sul palco dove una sontuosa sedia era stata
preparata. E a voce alta, in modo che tutti potessero udire, gli disse: “Siedi
tu sulla mia sedia”. Gli diede il mantello e il copricapo; poi si avvicinò al
padre, che guardava perplesso, e disse: “Padre, non tutto quello che appare è,
ma spesso quello che non appare è. Tu hai scelto per me il maestro più grande;
io non sono cresciuto grazie a questo maestro. Io sono diventato deforme, ho
fatto crescere solo una parte di me.” E portandolo vicino al suo compagno,
disse: “Vieni, inchinati a lui; il suo maestro sembrava stupido, ma gli ha dato
il cibo giusto per nutrire ogni parte del suo corpo.” E così si inginocchiò
davanti all’altro fanciullo.
Ricorda, o mio Re:
non sempre quello che appare è, e tante volte quello che è non appare. Quello che
sembra il cibo migliore può far crescere solo una parte di te, tanti diversi
cibi più o meno buoni possono far crescere tutte le parti di te. Il corpo che
abbiamo in questa nostra vita non è meno importante della nostra mente;
ricordalo, o mio Re. E non porteremo in un altro viaggio le stesse cose, se
queste non vengono da tutto quello che siamo, o mio Re. Non esiste la parte
umile e la parte nobile, non dentro di noi. Dentro di noi tutto è anche altro.
è dalle piccole cose umili di tutti i giorni che il tuo spirito può levarsi
alto nel cielo. Non nutrire solo una parte di te, questo porterà confusione e
il tuo spirito non potrà muoversi ed elevarsi sopra la terra dove scorre il
Grande Fiume. Ricordalo, o mio Re.
Sauro Tronconi, “I racconti del grande fiume”