Domenica sera ho
condiviso con una trentina di temerari uno spericolato esperimento
sentimentale: il raduno dei compagni di classe delle elementari. Erano
quarant'anni e centomila capelli che non ci si vedeva e per farsi riconoscere ciascuno
si era pinzato sul petto una targhetta con nome, cognome e una propria foto di
allora.
E' stata una delle
serate meno nostalgiche della mia vita: il passato da rammentare era così
remoto che sembrava futuro. Si è parlato tantissimo di progetti e speranze,
pochissimo di calcio, niente di politica.
Ma si è parlato
soprattutto della, e con la, Maestra. Era per i suoi 88 anni appena compiuti
che avevamo apparecchiato lo spettacolo, salvo accorgerci in fretta che lo
spettacolo era lei. Buona ma non debole, la schiena ancora dritta come i suoi
pensieri. La Maestra. Quella che ci aveva insegnato a leggere con i libri di
Primo Levi e di Rigoni Stern. Anche l'altra sera ha ascoltato con attenzione il
primo e l'ultimo della classe declamare "Il bosco degli urogalli" e
poi ha dato loro il voto: basso e però giusto, come sempre. Si aggirava fra i
suoi scolari attempati distribuendo carezze ruvide e rimproveri dolci.
Nel guardarla pensavo
all'esercito silenzioso di cui quella donnina formidabile fa parte: le maestre
elementari della scuola pubblica italiana che hanno tirato su una nazione con
stipendi da fame, ma meritandosi qualcosa che molti potenti non avranno mai. Il
nostro rispetto. Prima di andare a dormire ci ha detto che averci avuti come alunni
era stato, per lei, come riceverci in dono. Poi ci ha baciati sulla fronte, uno
a uno.
Sono rientrato a casa
con addosso l'energia di un leone.
Massimo
Gramellini, La Stampa del 29-05-2012