Mi piacerebbe pensare
che mai mi capiterà di non fare quel che dovrei fare e invece non posso
pensarlo perché so che è troppo facile qui alla finestra protetta del mio
affaccio luminoso sulla piazza delle Erbe, pulita e senza uomini, bambini e
donne in pericolo ma chissà se penserei gli stessi pensieri con il suolo che si
apre e il mondo che si rovescia, o semplicemente con l'anima squarciata da
un'offesa che non immaginavo.
Eppure, penso, si
deve credere che dobbiamo provare, e provare e provare e coltivare la fede che
possiamo essere quel che dobbiamo, in nome dell'altro e perché pareti sottili,
molto sottili ci dividono dalla vita e dalla morte di chi ci sta accanto.
Eppure capisco che si
può non farlo. Per nascondere una cosa, piccola cosa, o per paura o perché il
mio spirito si è incagliato per un momento, solo un momento. Penso che bisogna
non lasciar perdere nulla, punire certo per quel che offende la vita mia e di
tutti, ma soprattutto capire e capire e capire come questo non fare può capitare
e coltivare un mondo in cui possa capitare poco, pochissimo. E penso che il
mare di tremende parole che tutti i giorni diciamo, e di tempo che sprechiamo a
dir male, ci può sommergere.
Che il giudizio è la
nostra morte anticipata.
Mariapia
Veladiano, Ma come tu
resisti, vita, p. 45.