Foto Intestazione di Alberto Gianfranco Baccelli

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Non insegnate ai bambini, ma coltivate voi stessi il cuore e la mente, stategli sempre vicini, date fiducia all'amore, il resto è niente - Giorgio Gaber

martedì 3 febbraio 2015

LONDON APPLE EUROPEAN SUMMIT – Nadia Vidale


Parlare dei tre giorni di Londra come di una esperienza non mi riesce, e sono giorni che ci provo. Forse è perché le mie relazioni nascono sempre in costanza dell’evento, sorta di commentari che raccolgono note a mano a mano che le cose avvengono, e poi qualche volta vengono cuciti insieme. Qui non ho avuto il tempo di farlo, perché non sono mai stata abbastanza sola, se non il tempo, sempre insufficiente, per dormire.
Sola, lo sono stata soltanto nel lungo viaggio di andata, iniziato alle 5.30 del mattino e concluso intorno alle 14.00 del pomeriggio di giovedì, passando per vari mezzi (treno, autobus, aereo, metro) col sonno che a tratti reclamava un risarcimento e sempre - se si eccettua l’emozionante ricerca mestrina della stazione del bus, in tutto forse cinque minuti - del tutto tranquilla.
Scrivere da subito non si fa, occorre pur cominciare a raccogliere elementi della cosa. Il mio racconto di Londra comincia dunque all’uscita dalla metro, stazione di Paddington, l’aria frizzante sul viso e intorno un panorama di edifici inconsueto. E, subito, non c’e più tempo per abbandonarsi alla stanchezza. Siamo qui, abbiamo una manciata di ore. Bisogna prendere tutto quel che riusciamo a afferrare, non ci sarà un’altra volta a recupero di questa. (Non c’è mai, neanche nella vita quotidiana, dove però ci illudiamo di sperimentare di continuo la ripetizione).
Westminster Abbey, dimora delle glorie della monarchia - anche delle glorie civili, ma soprattutto delle teste coronate e dei loro satelliti. Costruita nel tempo, ampliata nei secoli e perciò contraddittoria, enorme, scura, orribili papaveri finti per il milite ignoto, lo splendido coro a scavalco dei secoli. Mi danno l’audioguida in italiano, la prendo perché, dove c’è spessore di storia e le conoscenze e la memoria cedono, lo sguardo non basta a suggerirci dove siamo. Ci fu anche un tempo in cui pensavo che fosse necessario sapere di cosa realmente si trattava nelle cose. Qualcuno dice che è un luogo di tombe, ma io non ne ho avvertita nemmeno una. L’ho vissuta come raccolta di omaggi - riconoscenza, devozione, sfarzo - nel monumento in cui si riconosce la nazione: noi siamo questi, noi siamo grazie a costoro. Noi siamo il Paese che ha espresso questo contributo alla civiltà (Isaac Newton, il Poet’s corner,…) di cui andiamo orgogliosi. Se sono corpi, sono conservati nella gloria.
Ha un che di artificiale da sempre, nella mia vita, l’esperienza estetica. Ci fu un tempo in cui mi pareva di assorbire: mi impegnavo con attenzione a guardare, cercando di imprimere da qualche parte, dentro di me, le immagini che ritenevo preziose. Adesso cammino e quello che vedo mi fluisce intorno e lo lascio andare, mi sfiora appena eppure mi accorgo che c’è: e qualcosa rimane.
Di Westminster mi è mancato il colpo d’occhio, la visione d’insieme, un po’ perché gli altari interrompono la navata e un po’ perché l’audioguida conduce di particolare in particolare. Dalla neutralità della descrizione emergono i costoloni del gotico avvolti verso l’alto come tende annodate, le trine del soffitto - pietra resa leggera e morbida come fosse tessuto - il raffinato pavimento italiano dell’incoronazione, le memori tombe di Elisabetta e Maria Stuarda.
All’uscita è freddissimo - ho lasciato sciarpa, guanti e berretto in hotel, ingannata da un sole che non ci mancherà mai, ma al tramonto riposa… -, doccia bollente, scendiamo per cena, arrivano tutti. Non c’è il tempo di costruire un gruppo affiatato, forse non siamo qui per questo, per cosa, invece?
A cena col pollo, gente nuova, storie soprattutto vecchie di scuola, entusiasmi nuovi di proposta. Come mi sento? Ascolto: dov’è che stiamo andando e cosa stiamo facendo? Che ci faccio qui, io che in vita mia mi sono occupata veramente poco di didattica, un po’ per disprezzo della pedagogia che tratta il bambino come un animale, un po’ perché a lungo dominata dall’idea che il sapere fosse cosa diversa e più importante del fare?
La scuola italiana è una grande macchina elefantiaca, come un popolo in marcia disorganizzata verso un dove che ognuno immagina a modo suo e a cui si reca nella condizione che gli è propria, perché si è unito alla marcia così come stava, quando gli è passata accanto - e chi aveva le scarpe giuste e chi no, e chi era ben provvisto di scorte sufficienti e chi, dopo un po’, si trova che gli manca questo e quello e ha perso i compagni o ne ha trovati di nuovi. Chi si ritira, chi protesta, chi pensa che sia l’occasione della sua vita, chi, altrimenti, non avrebbe saputo che fare.
Dopo cena, il grosso del gruppo va a dormire. Anch’io penso che sono in piedi da tanto e mi attende una giornata intera di seminario. Sarebbe saggio riposare, magari mi risparmio un mal di testa da sonno rubato.
Il gruppo piccolo resta fuori. Se si va a bere da qualche parte, non mi interessa. Facciamo invece due passi, ancora un’ora! Domani, se ci sarà il mal di testa, prenderò una pastiglia: ne prendo da settimane, per i postumi di una sciocca caduta in casa. Posso dedicarne una a una passeggiata nel buio dell’avventura in questa città.
Tower of London, Tower Bridge color celeste giocattolo, le imbarcazioni nella darsena. C’è qualcuno che, nella sua vita, si compra una barca e la ormeggia nel Tamigi. Come si fa parlare di “umanità”? Il bene dell’umanità, l’interesse, il progresso dell’umanità… Nome collettivo che assembla individui così tanto diversi e lontani che forse esige di chiarirsi ogni volta, all’uso, quale sia il sottoinsieme di riferimento.
Ho dormito benissimo e profondamente. L’avrei fatto, credo, ovunque non fosse troppo freddo. Il freddo mi atterra. Le grandi tragedie in cui ha avuto una parte decisiva- le ritirate di Russia, i lager polacchi - mi avrebbero fatto poco danno, perché la lotta sarebbe stata breve.
Venerdì, giornata Apple. Non avrebbe avuto senso arrivare fin qui per l’infilata di dimostrazioni in inglese - che in Italia si seguono comodamente in italiano. Tanto meno per il pistolotto finale del prestigioso motivatore. Ce l’ha invece perché la bellezza ha merito: e qui, dal luogo (che, all’indomani di Westminster, mi evoca un tempio laico), al ritmo degli incontri, alla moderazione dello slancio negli interventi (sempre trattenuto da una regola che al tempo stesso sembra sostenerlo), fino alla distribuzione del buffet, ovunque rimbalzano ordine eleganza sobrietà. Ma più ancora merita, perché la regia impeccabile lascia filtrare un appello inquieto, che corre per lo più sottotono ma, a tratti, emerge con prepotenza: il movimento (la ricerca, la scoperta, l’avvenire) non è mai scontato. Gli lotta contro l’inerzia, travestita da ogni sapere negativo sul limite delle risorse, proprie e altrui: mancanza di capacità, di mezzi, di tempo. Sarebbe una buona idea, se non fosse che…
Fuori, verso il tramonto, un’altra darsena, intanto che mi si costruisce a poco a poco una percezione di mondo che cambia e di cui io non mi ero accorta ancora.
Serata pub, volume di voci altissime che doppia la dimostrazione di scienze, in cui quattro erano scattati a parlare insieme e per un attimo mi ero chiesta se fosse un effetto voluto. Serata di pensieri avvolti dal rumore, ma dove stiamo veramente andando e da dove veniamo? Quando è cominciato? Dal pc. Ah, sì, è vero, il pc. Una potenza di calcolo spaventosa sulla scrivania di casa. Non ci faccio quasi nulla di ciò che ci potrei fare. Ma io conto poco. Conta quello che è realmente diventato possibile, che non lo era. Come lo è stato solcare i cieli in volo, come spostare un guardaroba pesante perché adesso le valigie hanno le ruote. Rivoluzioni, a cui non è facile applicare l’appropriato ordine di grandezza, perché varia a seconda di chi colpiscono e qualcuno non ne è toccato affatto e qualcuno ne ha la vita del tutto sconvolta.
Prima della notte, poche gocce di pioggia intorno al Big Ben. Stavolta resto al coperto, il ponte l’ho percorso ieri, resto a tentare un ritratto della House of Parliament che rassomigli a un maniero nella nebbia. Andate pure, io resto qui, che volete che mi succeda? La tranquillità senza la paura che, a sera tarda, avrei nel centro di Padova quasi a ogni angolo di strada.
Terzo giorno, lo choc al momento della colazione, tutt’a un tratto mi accorgo che ho al tavolo persone che lavorano tutte nella scuola primaria e nel primo grado… e tentano, e applicano! la didattica con le nuove tecnologie, intanto che noi ci attardiamo pigramente a considerare se fare una classe Ipad, se farne due… che in capo a quarant’anni copriremo tutta la scuola. Lo choc che il tempo stringe tantissimo e io lo capisco soltanto adesso e a scuola da me non lo sa nessuno… Arriveranno ragazzi che hanno imparato a usare altri strumenti, e noi cosa diremo loro? Di attendere quando saranno in terza che, se saranno fortunati, finiranno nella sezione sperimentale? Spiegando che troppo wifi nell’età della crescita fa male, che gli strumenti non servono se non si impara a ragionare e per quello intanto vanno bene carta e penna, che non abbiamo finanziamenti per dotazione e manutenzione e una formazione come si deve, la quale comunque non potrebbe essere obbligatoria se non con l’esonero dall’insegnamento o a fronte di una remunerazione, perché lavoriamo già così tanto?
Dopo colazione, il British Museum. Ho cercato di nuovo la sorpresa dei bassorilievi assiro-babilonesi, che mi aveva toccato così tanto la volta precedente. Gli assiro-babilonesi, nella scuola del sistema delle conoscenze, me li ero persi, o, per la verità, non c’erano mai entrati. Il libro parlava di figure rigide - i dignitari del re. Non raccontava la crudeltà della caccia in cui si scontravano il re degli uomini e quello delle belve, la ferocia del leone ruggente e colpito, vinto, infine, nei vari modi dell’uccisione e sempre col suggello della freccia in corpo, perché nemmeno il leone può essere, mai, superiore al re. Racconto che si squaderna in punta di cesello, finissimo nel tratto e drammatico nella narrazione - e i dignitari immobili stiano pure altrove, nei libri di storia.
Il Partenone. Dopo molti anni, smetto per sempre l’abito ortodosso. Oggi riconosco in me tutta romantica, ideale l’emozione di fronte a torsi mutili, splendida bellezza di cui sopravvive il ricordo, molto più che la traccia. Se penso allo sforzo che ho fatto a convincere Stefania di quanto fossero preziosi… Cos’era, poi? Seminagione del rispetto preconcetto per la reliquia… Che in tanto ha valore, in quanto fu parte…
Passaggio al Covent Garden con l’equivoco sull'Apple Market, perché le parole cambiano senso e il contesto si prestava a fraintendere e perciò nessuna traccia di Ipad fra bancarelle e artisti di strada. Però, neanche più le mele abbiamo trovato, solo l’insegna che mantiene il nome…
Passaggio in altro pub, quasi già consuetudine. Lasciamo la città su un autobus che sfiora l’Islamic Bank of Britain e mi percorre un brivido di scandalo, qualche risentimento dai fatti di Parigi ancora attivo, teocrazia è anche questo, un istituto laico sottoposto a un principio divino. Ma in tempo breve la memoria mi riconsegna l’immagine della banca affacciata sulla piazza della città natale, quando ero bambina Banca Cattolica del Veneto. Memoria labile.
Il luogo in cui ho sentito più vicino l’abbraccio della città è stato Piccadilly Circus. Piccadilly, dove le strade convergono su una piccola piazza e le insegne pubblicitarie incombono e tutto si concentra intorno alla fontana e si mette sotto la protezione dell’angelo, cuore di un posto pieno di gente: quanta gente ho visto in questi giorni che si muoveva andando ognuno per i fatti propri, e riempiva in su e e in giù le scale della metropolitana e innumeri negozi in Oxford Street, gente e soldi che vanno dappertutto, e per lo più credono di sapere dove…
Abbiamo preso l’aereo al volo (metafora appropriata). I prossimi giorni, settimane, mesi, a cominciare da subito, annoteranno la scrittura dellevento nella vita e nel lavoro.
Il ritorno, sappiamo, non esiste.

Nadia Vidale
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