Foto Intestazione di Alberto Gianfranco Baccelli

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Non insegnate ai bambini, ma coltivate voi stessi il cuore e la mente, stategli sempre vicini, date fiducia all'amore, il resto è niente - Giorgio Gaber

giovedì 1 agosto 2013

L'ARCIERE DEL RE - Jorge Bucay


C’era una volta un re a cui piaceva moltissimo la caccia al cinghiale. Una volta alla settimana, in compagnia dei suoi amici più intimi e del migliore dei suoi arcieri, usciva dal palazzo e si addentrava nel bosco alla ricerca dei pericolosi animali, che erano senz’altro una seccatura per tutti i fattori e gli agricoltori del regno. L’emozione dell’avventura si univa così al servizio reso ai sudditi, che si ritrovavano sbarazzati dei loro peggiori nemici, predatori e assassini.
La tecnica di caccia era sempre la stessa: un branco di cinghiali veniva individuato, accerchiato e costretto a dirigersi verso una radura dove avrebbe avuto luogo lo scontro.
Perché la caccia mantenesse il suo carattere sportivo era necessario che il cacciatore (un amico o lo stesso re) smontasse da cavallo e affrontasse l’animale a piedi, armato soltanto di una lancia e un affilato coltello da montagna. Bisognava ricorrere a tutta la propria agilità per sfuggire ai suoi denti appuntiti, e tenere i riflessi pronti per non essere scaraventati a terra dalla sua carica. Erano necessarie grande destrezza e velocità per conficcare la lancia in un punto vitale, e poi avere il coraggio di balzare sull’animale ferito per infliggergli il colpo di grazia con il coltello.
L’arciere reale era l’unico a difendere il cacciatore se qualcosa andava storto. Mentre tutti rimanevano ai margini della scena, concentrati sulla lotta, l’uomo faceva la guardia tenendo gli occhi ben aperti, con l’arco teso e la freccia pronta. La precisione del suo tiro poteva fare la differenza tra lo spavento per il cacciatore e una disgrazia irreparabile.
Un giorno, mentre inseguiva un branco di cinghiali che terrorizzavano la regione più occidentale del suo regno, il re si inoltrò con i compagni in un bosco che non aveva mai visitato. 
Non era molto diverso da altri boschi, tranne per il fatto che su quasi ogni albero era disegnato un rudimentale bersaglio. Tre cerchi concentrici in calce, più al centro un piccolo tondo bianco e pieno. Il re non fu incuriosito dai cerchi dipinti sui tronchi, ma si stupì che nel centro di ogni bersaglio fosse conficcata una freccia.
Trenta o quaranta tronchi testimoniavano la precisione di ogni colpo, ogni tronco con un bersaglio, ogni bersaglio con una freccia, ogni freccia nel centro esatto del bersaglio. Frecce che sempre sfoggiavano nelle piume gli stessi colori. Frecce uguali, scoccate probabilmente dallo stesso arciere.
Il re chiese alle guide chi fosse l’autore di quei colpi messi a segno, ma nessuno seppe rispondergli.
“Un arciere così sarebbe la garanzia migliore per la sicurezza del re” commentò qualcuno.
“Con una guardia del corpo capace di centrare quaranta bersagli su quaranta, io andrei a cacciare leoni con un ago” rise un altro.
“Speriamo che sia uno soltanto” disse l’arciere reale, “perché altrimenti rimarremmo tutti senza lavoro”.
Il re annuì e, grattandosi il mento, fece chiamare il capo dei suoi servi e gli disse:
“Voglio questo arciere a palazzo domani pomeriggio. Convincilo a incontrarmi, ordinagli di venire, portalo con le guardie… E’ chiaro?”.
“Sì, maestà” disse l’altro. E a cavallo si diresse verso il paese alla ricerca dell’infallibile arciere.
L’indomani, un paggio bussò alla porta della camera da letto reale per annunciare al sovrano che il servo era arrivato e chiedeva di incontrarlo.
Il monarca si vestì in fretta e andò entusiasta all’incontro con il suo ospite.
Nel salone dei ricevimenti, accanto all’emissario, trovò soltanto un ragazzino di quindici o sedici anni, che teneva in mano con incuranza un piccolo arco.
“Chi è questo ragazzino?” chiese il re.
“E’ il giovane che mi hai chiesto di portarti” disse il servo “colui che ha scoccato le frecce nel bosco”.
“E’ vero, ragazzo? Hai tirato tu quelle frecce? Attento alle bugie, amico, potrebbero costarti la testa”.
Il giovane abbassò lo sguardo e balbettando per la paura rispose:
“Sì, è vero, le ho scagliate io”.
“Tutte?” chiese il re.
“Tutte quante” disse il giovane.
“Chi ti ha insegnato a tirare con l’arco?” chiese il monarca.
“Mio padre” rispose l’arciere.
“E lui dov’è?” chiese ancora il re.
“E’ morto sei mesi fa” disse addolorato l’adolescente.
Non abbiamo il maestro, ma abbiamo il suo allievo migliore, pensò il re.
“Qual è la tecnica?” chiese il re.
“La tecnica?” ripeté il giovane.
“il modo in cui scocchi una freccia nel centro esatto di ogni bersaglio” chiarì il re.
 “Facilissimo” disse il ragazzino. “Io tiro la freccia contro l’albero, e poi ci disegno i cerchi intorno”


Jorge Bucay, Conta su di me, p. 30-33
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